(Ri)pensare la sessualità nel tempo della sua insignificanza
Il problema è l’amore. Verrebbe da iniziare così. Non intendiamo dire che si debba svelarne il mistero una volta per tutte, quanto piuttosto che sia urgente tornare profondamente a interrogarsi se sia ancora un’esperienza credibile, possibile e cosa dica del nostro essere persone. Ce lo chiede, più di quanto pensiamo, un tempo colmo di rigurgiti pericolosi e intrecci inediti: un odio gridato e diffuso che va a braccetto con una ostentata solidarietà tra uguali; un’indifferenza generalizzata nei confronti delle differenze che fa il paio con una chiusura radicale verso ciò che è
altro da sé; una contrattualizzazione dei legami che pretende di andare d’accordo con una riduzione dei sentimenti a emozioni se non addirittura istinti. E così assistiamo al ritrarsi di un amore “bullizzato”, non solo laddove la sua presenza è stata da sempre oggetto di dibattito e confronto (la politica, la giustizia, lo spazio pubblico), ma persino in quelle realtà che hanno contribuito a metterlo al mondo, prendersene cura, darne testimonianza. Due su tutte: la famiglia e la Chiesa. La prima vive soffocata tra un amore fragile, che fatica a reggere l’investimento di una promessa come la tenuta di un progetto, e un (non) amore prepotente, che si fa abuso e violenza, incapace di reggere i cambiamenti della vita, del corpo, dei sogni, della realtà. La seconda è attraversata dalle sfumature che vanno da un amore tradito, perché tragicamente divenuto abuso, violenza, interesse o miseramente ridotto a forma, apparenza, tradizione, fino a un (altro) amore desiderato, celato, represso, come capita, sempre più di frequente, nella storia affettiva di tanti pastori, che complessivamente faticano a viverlo “solo” per Dio. Il problema è l’amore.